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26 dicembre 2015

Intervista al sindaco di Sabratha: Daesh non ha preso il controllo della città

Tripoli - L'Osservatorio Italiano ha intervistato il sindaco di Sabratha, Hussein al-Thawadi (nella foto), per avere maggiori chiarimenti sulla situazione all'interno della cittadina della Tripolitania, divenuta protagonista della recente cronaca dei media internazionali, come nuova conquista dell'organizzazione terroristica Daesh. Considerando la grande importanza di Sabratha, sia perché custodisce un prezioso quanto unico patrimonio archeologico, sia per la sua posizione geografica a ridosso dei confini rivieraschi italiani, l'avanzata di Daesh in questo territorio costituirebbe un grave pericolo per la sicurezza europea, nonché un possibile "cavallo di troia" per un intervento militare in Libia da parte di una coalizione esterna. Di contro, nelle sue parole, il sindaco di Sabratha smentisce nettamente qualsiasi escalation, pur confermando l'esistenza di problemi legati alla sicurezza, dovuti anche all'instabilità politica del Paese.

I media internazionali hanno riportato la notizia della presenza di 30 pick-up di Daesh a Sabratha. Può piegarci cosa è realmente accaduto in città?
Prima di tutto vorrei ringraziarvi per il vostro interesse nei confronti della situazione della Libia. In realtà queste notizie sono completamente false, in quanto i van e pick-up citati dai media appartengono in realtà a delle forze oppositrici di Sabratha, sono solo otto e non 30, e non hanno mai sventolato delle bandiera di Daesh.

La situazione all’interno della città è stabile adesso?
La situazione a Sabratha è molto buona; la Polizia, i Tribunali e tutti gli uffici stanno lavorando. La vivibilità nella città, per quanto riguarda la sicurezza, è sotto controllo.


Le forze della Rada hanno arrestato un tunisino che, in una testimonianza video, ha affermato di far parte di una cellula di Daesh e di aver ricevuto l’addestramento a Sabratha. Le autorità locali sono a conoscenza della presenza a Sabratha di una cellula affiliata a Daesh?
Il video non mi convince molto perché tutte le informazioni sostenute sono basate sull'incertezza e su congetture. Il testimone non ha alcuna informazione sicura, tutto ciò che ha affermato non è nient'altro che un discorso di strada, niente di preciso che possa ricondurre all'esistenza di una cellula di Daesh.

Esiste, secondo voi, un pericolo di espansione di Daesh a Sabratha, o in generale in Libia?
L'espansione di Daesh non avverrà solo a Sabratha, ma in qualsiasi territorio in cui manca una struttura di potere e un Governo che garantisca lo stato di diritto.

L’infiltrazione dei terroristi nel territorio libico avviene attraverso il mare o attraverso i confini terrestri?
L'infiltrazione dei terroristi avviene via terra e questo è un problema di gestione delle frontiere, come anche della lotta ai traffici nelle città di confine, abbiamo bisogno del sostegno regionale e internazionale per combattere questo fenomeno su grande scala. Per quanto riguarda le infiltrazioni attraverso il mare, non ho alcuna informazione in merito.

A che livello si attesta la collaborazione con le Autorità tunisine?
Il livello di cooperazione con le autorità tunisine, purtroppo, è debole.


Vista la diffusione di false informazioni attraverso i media sull’attacco al compound petrolifero della ENI a Mellitah, com'è percepitala la presenza degli investitori italiani nella zona di Sabratha, o più in generale in Libia?

A proposito del complesso della Mellitah, i ribelli di Sabratha hanno risposto a tutti gli attacchi sferrati dall'esercito delle tribù e dal regime precedente, il complesso è protetto. Tuttavia non dà la possibilità ai nostri giovani di ottenere un lavoro.

Esiste un reale rischio di sicurezza per il compound petrolifero della Mellitah?
Non esiste alcuna minaccia per il complesso Mellitah finché ci sono persone desiderose di proteggerlo.

Le autorità di Sabratha sono in grado di controllare gli scontri con l’esercito delle tribù?
Non temiamo l'esercito delle tribù; tutti i loro movimenti sono sotto controllo e la loro presenza non costituisce alcuna minaccia.

Le notizie dei media internazionali descrivono una realtà sempre diversa dalla situazione sul territorio. Secondo lei, quali sono le fonti di questi media? Si trovano in Libia, nei Paesi vicini, o sono informazioni false, create per un obiettivo preciso?
Tutti questi media hanno fonti non ufficiali sia dentro che fuori, alcune entità non vogliono la stabilità in questo Paese, né il supporto di altri Paesi, utilizzando di contro la lotta al terrorismo come un pretesto.

Qual è la posizione delle autorità di Sabratha rispetto all’accordo sul Governo di Unità Nazionale?
Le autorità di Sabratha sostengono  Stato e la presenza del Governo di Unità Nazionale, appoggiamo il dialogo.

10 giugno 2015

La Libia come bottino dell'ISIS sconfitto da Assad

Roma - Lo scenario libico si sta complicando sempre di più, con la scesa in campo di forze incontrollate che rispondono agli ordini di lobbies economiche pronte ad aggredire un Paese senza alcun controllo, allo sbando e diviso tra due Governi. La Libia oggi deve scontare gli errori commessi dalla Comunità Internazionale, e da “una banda di criminali doc” che si aggira tra Europa, Qatar, lobbies americane e filantropi alienati. Sono tutti oggi all’opera per trasferire gradualmente il conflitto di Siria e Iraq a Tripoli, dislocando progressivamente le milizie del cosiddetto Stato Islamico, a caccia di un bottino di guerra. L’Occidente è divenuto così vittima della stessa propaganda che ha alimentato per formare armate di mercenari da scagliare contro Bassar Al-Assad, convincendoli ad entrare nella jihad per sconfiggere “i nemici sciiti”. E così, mentre l’Iran avanza sbaragliando i jihadisti “made in Qatar”, è cominciata la timide processione alla Corte di Assad per racimolare contratti per la ricostruzione. Eppure dicevano che in tre mesi la Siria sarebbe caduta sotto i colpi dell’opposizione, mentre sono passati quattro anni e Damasco è sempre in piedi, anzi ha rafforzato le sue alleanze in Medio Oriente. A questo punto sorge una lecita domanda: quanto pesa l’affidabilità dei nostri analisi, così esperti nel denigrare e additare chi osa contraddirli, senza però aver mai centrato, anche di poco, una previsione. Hanno sempre perso per un soffio, e comunque sempre per fattori imprevedibili. Tralasciamo però questo discorso, troppo complesso e profondo, perché “già i nemici sono tanti”.

Ritornando alla Libia, l’Italia ha senza dubbio perso ogni prospettiva di rientrare a Tripoli, e quel poco che era stato costruito negli anni sarà spezzettato e rinegoziato dai nuovi poteri. Lo scenario creatosi rispecchia quanto temuto dall’Osservatorio Italiano, che avvertiva sul rischio della frammentazione della Libia in tre parti (si veda La Cireaica, il nuovo Stato di Total e BP).  Se non avranno la Siria, a conti fatti, andranno a prendersi i pozzi della Libia. Allora ci sveglieremo dal torpore e capiremo di essere stati traditi da tutti. Usciranno i giocatori di poker delle diplomazie parallele, che hanno fatto accordi sottobanco in tempi non sospetti, come i francesi, i belgi, i tedeschi e i campioni britannici, gli spagnoli. Stanno saccheggiando tutte le società africane con partecipazioni azionarie libiche, rastrellando denaro, oro e azioni della Libia. L’ISIS continuerà a combattere fino a quando non sarà fatta “piazza pulita” in tutto il continente africano. Oggi questa viene chiamata democrazia. Senza la CNN, Al Jazeera, AFP e BBC (e tanti altri) non esisterebbe neanche l’ISIS. Sono stati i media internazionali “spacciatori di notizie false” a trasformare gli attivisti in forze di opposizione, poi in Free Syrian Army, poi in Al-Nusra e in Al-Qaeda (nella sua nuova veste grafica). Ad un certo punto, dopo che i vari jihadisti si sono ammazzati tra di loro, è nata dal nulla lo Stato Islamico di Levante e Iraq, straordinariamente scoperto dalla Agence France Presse. Ormai, è cosa abbastanza nota che a fornire armi e tecnologie all’ISIS è il Qatar, dove la storia si confonde con l’intrecciarsi di tante economie e lobbies.Non vorremmo dilungarci oltre, ma i video di propaganda del cosiddetto Stato Islamico rispondono alla stessa scuola di marketing delle associazioni umanitarie, dei movimenti anti-corruzione, delle Femen e del Maidan: stesse inquadrature, stessa mimica. Basta rivolgersi ad una società di comunicazione, queste di strategia globale, pronte ad organizzare dietro compenso campagne di denuncia che possono far oscillare la quotazione in borsa delle materie prime.

L’Italia non ha alleati, è stata lasciata sola e le forze sul campo sono pari a zero, perché per anni ci si è nutriti di una falsa gloria ipocrita. Se vogliamo conquistare una voce, dobbiamo essere “pronti alla morte”, lavorare 24 ore su 24, con persone che amano il nostro Paese, per creare una “macchina bellica” fatta di contenuti. Oggi l’informazione è utile, ma il contenuto sostanziale è fondamentale. Riconquistare una posizione senza rubare e saccheggiare, significa costruire un sistema che sia in grado di bloccare i contenuti, fornendo nuove argomentazioni. Grazie alle nuove tecnologie, l’Italia può dotarsi di un sistema che possa colpire questa grande disinformazione, di cui noi stessi siamo vittime, e creare così degli spiragli per aprire delle politiche parallele che possono agevolare la piccola e media impresa. Dopo le sanzioni alla Russia, bloccare il Maghreb e spegnere la Libia, significa segnare il destino dell’economia del Mediterraneo. E’ sempre colpa del terrorismo, oppure di scelte sbagliate.

06 marzo 2015

La falsa rivoluzione dei codardi

Tirana - Potrebbe essere una storia ironica, ma anche una commedia russa, dove tutto è sempre così contorto. In realtà è la storia perversa di chi è al potere senza storia e pretende invece di fare filosofia a chi di storia ne ha da vendere, radicata nel Dna. Parliamo di quella gente che ha fede nell’onore e nella legge della “besa”, di quella gente che quando giura scrive nella pietra le proprie promesse, rispettando i propri impegni fino in fondo, a costo di essere autodistruttivi, con il vincolo della famiglia, di fratelli e amici, gente che fa della parola una firma indelebile. Dall’altra parte, vediamo al potere persone che parlano tramite Facebook, rilasciano dichiarazioni da "venditori di padelle", improvvisano professionalità grazie ai corsi serali delle società di comunicazione, ma perdono facilmente le staffe dinanzi ad un giornalista che fa delle domande non concordate. 

Due realtà agli antipodi
L’immagine di questa classe politica decadente si condensa nella figura di Edi Rama, un codardo senza un passato, conosciuto negli ambienti per essere un “grande bluff”. La sua politica è tutta racchiusa nell’utilizzo appariscente dei media, nella ristretta cerchia di scagnozzi dall'intelligenza mediocre, che viene sguinzagliata nelle trasmissioni e nelle conferenze per parlare di cose di cui non hanno alcuna cognizione di causa. Tutto sommato è un bravo attore, tanto che quando vinse le elezioni invitò nel palazzo del Governo – che aveva in tutta fretta restaurato ‘a credito’ – tutti gli ambasciatori, per annunciare che le casse dello Stato erano vuote, per poi festeggiare stappando champagne. Nelle sue trionfali uscite in pubblico, in cui si crogiola del grande successo del “suo partito socialista”, dimentica di dire che a rendere possibile questo trionfo era stato proprio Tom Doshi, l’uomo che aveva mosso le giuste pedine per aprire a Rama la strada verso il potere, consegnandogli i voti del Nord dell’Albania, roccaforte del partito democratico sin dall’inizio del pluralismo. Nei galà però preferisce accompagnarsi con l’ambasciatore americano Alexander Arvizu e il rappresentante europeo Ettore Sequi, che lo hanno sostenuto nel corso della campagna elettorale senza neanche nascondere molto questa “parzialità sleale”. Addirittura firmano insieme un articolo di promozione del “Governo Rama” come “ottima scelta degli albanesi per entrare in Europa”, il miglior risultato dopo la caduta del regime comunista. Sequi diventa così il “più grande amico” di Rama, perdendo ad un certo punto il lume della razionalità e compromette la diplomazia europea con l’epurazione politica legalizzata di Rama, in beffa dei famosi 12 criteri per l’integrazione. E’ allora che le due istituzioni internazionali hanno perso prestigio e credibilità, rendendosi complici di una proscrizione indiscutibile. Non si può infatti permettere ad Edi Rama di fare il falso eroe anti-comunista, quando non ha avuto alcun ruolo in quella rivoluzione. 

Tom Doshi a Washington incontra Eliot Engel
Tuttavia, non intendiamo parlare di questo ‘piccolo uomo’, bensì difendere l’onore delle istituzioni statali, che sono state violentate e impoverite, divenute carne da macello delle lobbies, sotto gli occhi della Comunità EuropeaE lo faremo attraverso la storia che ha da raccontare Tom Doshi,  la cui assurdità è oggi in grado di far cadere il Governo e compromettere l'intero castello di falsità montato dal binomio Rama-Meta in combutta con esponenti della comunità internazionale, per mettere l'Albania sotto il loro controllo. Premettiamo che la figura di Tom Doshi è molto importante per comprendere i recenti eventi della politica albanese, ma soprattutto per fare chiarezza su come Edi Rama sia salito al potere. Quella stessa forza che gli ha permesso di fare gesti eclatanti, proteste ed inchieste, ora è in grado di togliergli ogni cosa, perché è stato un ingrato. Visto tra i suoi elettori come un umile servitore della sua gente cattolica, Tom Doshi ha un passato strettamente connesso alle vicissitudini dell'Albania,  dai primi albori dell'indipendenza della Repubblica, sino all'avvicendarsi del comunismo. La sua famiglia è stata tra le più colpite dalla persecuzione del clero da parte del regime comunista, con cinque familiari fucilati in esecuzione. Parte della sua famiglia era anche Prek Cali, grande patriota, il parroco Don Mark, morto nelle carceri comuniste, il noto monaco francescano Zef Pllumbi, che ha trascorso 26 anni in carcere per essere rilasciato solo nel 1989. Si spense nel 2007 al Gemelli di Roma, e la sua morte è stata salutata con i funerali di Stato. Tom Doshi parla poco, ma la comunità cattolica del Nord dell’Albania sa bene chi è, riconosce la “besa” e l’onore della parola, quanto basta per poter contare sulla sua forza elettorale.Grazie a lui, la città di Scutari viene consegnata al Partito socialista, sebbene fosse stata storicamente di destra, come la nostra Emilia è da sempre di sinistra.

Dall'amicizia alle accuse di paranoia: la caduta di stile di Rama
Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di ricostruire gli ultimi eventi che hanno visto scontrarsi questi due mondi così diversi, avvicinati solo dal comune obiettivo del “bene per l’Albania” ed allontanati da un inaspettato “alto tradimento”. Il deputato socialista Tom Doshi, circa cinque mesi fa, viene a sapere da “fonti certe” che è stato ingaggiato un killer per il suo omicidio. Di questo Doshi informa subito l’amico Edi Rama, che gli promette il massimo impegno delle istituzioni, ma in realtà lo liquida molto velocemente dicendo di non aver trovato alcun elemento di prova, e fa cadere il tutto nel silenzio. Interrompe addirittura le comunicazioni con Doshi, che da quattro mesi non ha sue informazioni su tale questione. Doshi intanto porta avanti le proprie indagini, e scopre che quelle informazioni sembrano essere tutt’altro che infondate. A confermarglielo è lo stesso killer, che gli confessa anche il nome del mandante. Rama tuttavia non crede alla tesi di Doshi e lo scomunica, cioè lo allontana in maniera irregolare dal Partito socialista, come fa un vero “piccolo dittatore”. Una decisione impulsiva e avventata, che però viene sostenuta ancora una volta dall’ambasciata americana, e dalla stessa delegazione europea, che “salutano la de criminalizzazione del Parlamento albanese”. Bisogna precisa che forse è stata fatta un po' di confusione, perché Doshi non è stato espulso dal Parlamento dalla Commissione di Decriminalizzazione, bensì dal partito, dal suo Comitato direttivo. Comunque, in poche ore Rama ottiene il sostegno atlantico, nella convinzione che questo potrà proteggerlo dal terremoto che si sta per scatenare. Al contrario, Tom Doshi non si scompone più di tanto, semplicemente ricorda all’ambasciata americana che lui non è un criminale, semplicemente perché nei suoi confronti non vi è mai stato un procedimento penale o altro.

Intanto si è attivato un meccanismo inarrestabile, e pubblica il video della testimonianza del killer, che descrive con dovizia di dettagli la dinamica della preparazione del suo omicidio, e confessa che è stato Ilir Meta ad ingaggiare una serie di persone per portare fino in fondo il lavoro. A questo punto entra subito in scena il partito democratico, dopo che Sali Berisha ha dato il proprio tacito sostegno all’azione di Doshi, preparando una mozione di sfiducia. La mattina successiva, più agguerrito che mai, Berisha si presenta in Parlamento chiedendo le dimissioni del Primo Ministro, tanto da far alterare il “pacato” Ilir Meta, che perde le staffe e comincia a beccare come una gallina. Neanche i suoi lo riconoscono, e ad un certo punto Edi Rama si alza per calmarlo. Berisha è un fiume di parole, e Ilir Meta lo incalza ridicolizzandolo – “Prendete al dottore le medicine”, dice – per poi cadere in frasi stile ’97-’98, gli anni delle piramidi finanziarie albanesi e dell’omicidio di Azem Haidari. Meta è fuori di sé, tanto da sembrare persino un po’ ridicolo; non riesce a comprendere come mai Berisha sta proteggendo Tom Doshi, che lo aveva accusato pubblicamente anni prima. L’aula parlamentare diviene un’arena di scontro tra Titani. Berisha è accerchiato dai suoi, mentre il servizio di sicurezza del Parlamento protegge il Governo: in tutto questo Rama con il suo smartphone scatta le foto da pubblicare su Facebook (vedi Foto), mentre Tom Doshi è in Procura per una deposizione dinanzi agli inquirenti di oltre 6 ore. Nel pomeriggio la Procura fa sapere che saranno ascoltati Ilir Meta, Edi Rama, il Ministro degli Interni Saimir Tahiri, i deputati Mark Frroku, Mhill Fufi e Sali Berisha. Tra i convocati risulta anche Eugen Beçi, ex capo della Procura per i gravi crimini, rimosso dalla carica con l’inizio di questa inchiesta, dopo la pubblicazione della foto che lo ritraeva a tavola insieme con il gruppo che stava organizzando l’attentato.


Il confronto in Tv: nuovi elementi, Rama inconsistente
Lo spettacolo continua in serata, quando su Top Channel viene trasmessa l’intervista di Tom Doshi da parte di Sokol Balla, mentre su Tv Klan Blendi Fevziu ospita Edi Rama. Tutta l’Albania, in realtà, aspetta le parole di Tom Doshi, che risuonano nel silenzio dello studio in collegamento in un’atmosfera surreale. L’unico a capire quello che sta per succedere è il giornalista Artan Hoxha – lo stesso che sembra aver informato Doshi dell’esistenza di un piano per la sua eliminazione. L’intervista a Tom Doshi è qualcosa di surreale, perché è una persona che parla poco e guarda negli occhi del suo interlocutore, tanto che Sokol Balla ha un po’ di timore e cerca di moderare i toni. Tutt’altra storia lo spettacolo che dà in contemporanea Edi Rama: non risponde alle domande, si confonde e butta tutto in caciara, perdendosi nelle slides delle statistiche del crimine che ha portato con sé. E’ insicuro e gesticola, totalmente diverso dall’immagine che solitamente ama dare di sé nei comizi, gestiti dalla regia delle società di comunicazione.

Ad ogni modo, dalle parole di Doshi emergono nuovi interessanti dettagli. Spiega che il video è stato registrato da lui stesso, in accordo con il killer, che acconsente di essere filmato, dopo aver in precedenza accettato la sua protezione. Doshi gli ha dato infatti una macchina blindata, e lo ha aiutato a portare la sua famiglia fuori dall’Albania. Afferma inoltre di avere un secondo testimone, ossia colui che doveva posizionare la moto su cui era stata messa la bomba e che attualmente si trova in Italia (cosa che Rama ancora non sa, tanto che continua ad essere convinto che sia tutto frutto di una paranoia). Altra notizia che fuoriesce è quella che il famoso video di Prifti che incastrava Ilir Meta sulla corruzione era stato trattato da Tom Doshi, perché Edi Rama è noto per essere inaffidabile, che non rispetta mai i patti e la parola data. Delle rivelazioni esplosive rilasciate senza mai gesticolare, persino gli analisti in studio fanno molta fatica a trovare dei punti deboli: arrancano e alcuni sospirano, altri divagano e cercano di distrarre l’attenzione dal tema, mentre Artan Hoxha puntualmente li riporta sulla discussione centrale.


Le contraddizioni del Governo. Provocatoria " l'entrata in fallo " dell'ambasciata americana
In tutta questa storia ci sono molte incongruenze e conti che non tornano. Edi Rama si era tanto affrettato a dire che tutte le indagini erano state fatte ma non risultavano esserci elementi di minaccia per la sua vita, come poi confermato anche dal Direttore della Polizia Artan Didi e dal Ministro degli Interni Saimir Tahiri. Tuttavia la Procura smentisce che sia stata depositata una denuncia formale. All’improvviso però viene arrestato Durim Bani, il presunto killer, mentre tenta di passare il confine con il Montenegro di Hani i Hotit. Ci si chiede, allora, come mai Bani è stato arrestato solo dopo le rivelazioni pubbliche sul piano di omicidio di Doshi, quando le indagini precedenti non avevano riscontrato elementi di prova. Stranamente, dopo che è stato fermato, il killer ha ammesso di essere stato ingaggiato per l’attentato a Doshi, mentre la sera stessa ritratta la sua versione, affermando di “essere stato pagato da Doshi per recitare questo ruolo”. Uno scenario che era stato anticipato dall’opposizione che, dopo il fermo, rivela che Bani è stato posto in isolamento e che, dopo ore di interrogatorio e senza l’assistenza di un avvocato, sotto le forti pressioni degli inquirenti, cambierà la sua testimonianza. A questo punto, bisognerà confrontarsi con il secondo testimone, e vedere come si metteranno le cose.
La posizione dell’Ambasciata americana però si complica, perché Doshi potrebbe essere davvero vittima di un tentativo di omicidio, fermo restando che non è un criminale. La  dichiarazione rilasciata era così affrettata e tuttavia, ben studiata per screditare Doshi e invalidare anche le sue accuse verso chi lo voleva morto. Un atto talmente azzardato che persino i suoi detrattori – tra cui anche Sokol Balla – dichiarano che effettivamente si tratta di una provocazione, pronta e ben confezionata per scatenare delle reazioni. Bisogna infatti ricordare che in passato gli Stati Uniti hanno visto in Tom Doshi un uomo di fiducia, aprendogli le porte del Congresso nel corso della sua vista a Washington. E’ una contraddizione in termini molto evidente.


Cosa dire poi dell’atteggiamento assunto da Edi Rama, che passa dall’essere “compagno” ad un semplice conoscente - tra poco dirà che lo ha incontrato per caso nei corridoi - sino ad essere suo principale accusatore, definendolo un paranoico “che crea queste situazioni per i suoi business”. Insomma ci risiamo, anche con il comunismo si finiva in un ospedale psichiatrico se si davano segni di ribellione. Il Premier Rama dovrebbe invece rendere conto delle attività dei suoi “nuovi amici”, che si stanno arricchendo alle spalle dello Stato con i tanti contratti assegnati senza appalto e grazie alle istituzioni parallele, da lui stesso create. Ci chiediamo come mai il signor Koco Kokedhima propone di legalizzare la marjuana con un marchio albanese, subito dopo l’operazione di Lazarat, pubblicizzata come il più grande evento storico del governo albanese contro la criminalità organizzata. Non si è invece preoccupato di dare una soluzione economica a quell’indotto di economia sommersa che ora non esiste più, e forse avrà trovato un altro impiego. Potremmo ancora continuare con il lungo elenco di “contraddizioni” del Signor Rama, citando per esempio gli affari che le lobbies straniere stanno facendo in Albania, sottraendoli all’economia sommersa albanese. Una grande rivoluzione economica senza fare alcun piano strategico, o forse l’unica strategica è stata quella di consegnare il Paese al sistema del debito, dell’usura delle multinazionali, mentre i Paesi europei stanno combattendo per cacciarle. D’altro canto, cosa possiamo aspettarci da un Governo che si spinge sino ad arrestare i propri cittadini, che non hanno soldi per pagare l’elettricità e si collegano alla rete nazionale per poter vivere e mangiare.

Le nostre conclusioni
Da parte nostra, dinanzi a tutta questa storia, così complessa ma allo stesso tempo semplice ed evidente, non intendiamo prendere alcuna posizione, perché saranno gli inquirenti e la Procura a chiarire la realtà dei fatti. Tuttavia ci preme sottolineare come il caso di Tom Doshi abbia fatto emergere una grande verità, ossia la bassezza di una classe politica emersa dalla speculazione perpetrata dopo la caduta del regime comunista, arricchitasi con furti e svalutazioni del patrimonio pubblico, conservando però quella ideologia di prepotenza e spregiudicatezza. Hanno fatto delle istituzioni statali un mezzo per fare cassa, da utilizzare dinanzi alla Comunità europea per accreditare le riforme volute dalle lobbies, per poi degradarle nominando come funzionari e ministri persone di “madri e padri sconosciuti”, senza cultura e senza storia. E così, anche qualora il caso di Doshi possa rivelarsi una montatura, resta il fatto che dinanzi ad una legittima richiesta di un deputato di avere la protezione dello Stato, le istituzioni hanno agito con menefreghismo e superficialità, arrivando a mentire per coprire i propri bassi interessi.
Ancora peggiore è stato l’atteggiamento della Diplomazia Europea, che ha rilasciato delle dichiarazioni senza fare alcuna verifica, cosa che denota la profonda ignoranza di diplomatici, i cui stipendi sono pur sempre pagati da contribuenti europei. Pur di non mettersi a lavorare, hanno preferito accreditare la versione di Rama, che ostenta tanta sicurezza, ma in realtà è solo un burattino che gioca con Facebook,e Twitter. Di questi tipi che dicono di aver fatto la rivoluzione, ma invece sono scappati, divenuti dei vagabondi: quando sono tornati, è bastata una giacca per farli sembrare signori. In realtà restano dei codardi.

Un amico dell'Albania

18 febbraio 2015

Conflitti non convenzionali e la minaccia dell'ISIS a Roma

Roma - L’Europa manca di nuove idee e di creatività, non ci sono più i vecchi pensatori né correnti politiche. Siamo dinanzi ad una guerra di contenuti, che porterà allo scontro tra gli stessi alleati. Questo è uno dei principali motivi nasce e viene accreditata un’organizzazione terroristica più estremista e violenta di Al-Qaeda, guidata da un fantomatico califfo e un esercito di mercenari stranieri, mentre ha degli attori come immagine mediatica da mostrare in filmati hollywoodiani. Quella dell’ISIS può essere definita come la “versione terroristica islamica” del Maidan, ovvero di quella rivoluzione artificiale combattuta da contractor e pubblicizzata mediaticamente da società di comunicazione. Ed infatti, come il Maidan avrebbe dovuto rompere la nuova cortina di ferro dei confini tra Ucraina e Russia per dare un nuovo volto ad un’Unione Europea fallita, l’ISIS deve infiltrare i Paesi-canaglia del Medio Oriente e creare delle minacce terroristiche artificiali, per giustificare aggressioni militari senza passare per l’ONU o le strutture NATO. Stati e Governi, sia arabi che occidentali, sanno bene come stanno le cose, ma sono così vigliacchi da preferire continuare questa messa in scena, nella speranza di poter guadagnare da tutta questa storia. Tutti conoscono quali siano i responsabili di questa guerra: in primo luogo il Qatar, che ha finanziato la creazione di questa rete, e Nicolas Sarkozy, che ha innescato con l’attacco alla Libia un processo di non ritorno. Oggi, il bombardamento unilaterale dell’Egitto sul territorio libico porta la guerra nel cuore del Mediterraneo. Una guerra non convenzionale, che viola e supera del tutto il diritto internazionale, considerando che la Comunità Internazionale ha deciso di giustificare tacitamente l’intervento militare di uno Stato estero, per via della presenza di una fantomatica cellula terroristica provata dalla pubblicazione di un video. Chi ha autorizzato l’aggressione militare egiziana verso la Libia sta giocando un ruolo sporco, portando all’esasperazione gli equilibri del Medio Oriente, sino a provocare un conflitto totale nel mondo arabo, già tormentato dalla guerra in Siria. Il braccio armato di Al-Sisi – mosso dal sostegno di Emirati e Russia nonché da gran parte degli Stati Islamici – non si fermerà sino a quando non otterrà il formale via libera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e per far questo ha bisogno degli Stati Occidentali, in particolare di Francia e Italia. Da qui nasce la presunta minaccia dell’ISIS di attaccare il territorio italiano, e quindi fare pressioni sul Governo italiano perché faccia un passo falso.

Credere che l’ISIS sia “a sud di Roma”, oltre ad essere una cialtroneria è anche un insulto all’intelligenza di chi lavora. Vogliamo ricordare che tale fenomeno ha avuto origine almeno tre anni fa, quando la tela dell’Etleboro ha intercettato un messaggio diramato attraverso i socialnetwork di un nuova entità terroristica, che l’intelligence francese accreditava come la “nuova Al-Qaida”. I nostri canali avevano individuato delle reti che, in maniera molto palese e senza molti segreti, ricevevano sostegno e mezzi dall’Occidente. Questo fenomeno ha origine e si sviluppa proprio quando l’esercito di Assad aveva sbaragliato i guerriglieri e si preparava all’assalto che avrebbe compromesso il conflitto. La vittoria di Assad era ormai certa, tanto che la Etleboro pubblica un articolo sibillino (Assad ha vinto la guerra), anticipando un possibile gesto estremo da parte degli sconfitti. Ed infatti, dopo sole due settimane avviene il fantomatico attacco chimico, che ha portato all’isteria mediatica oltre alle patetiche prediche moraliste dei diplomatici occidentali, tra le boccettine dei campioni e le prove inequivocabili del Ministro Giulio Terzi. Obama era già pronto a bombardare, ma tutto si ferma e cade nel silenzio. E’ allora che nasce il fenomeno mediatico del cosiddetto Stato Islamico dell’Iraq e Levante (ISIS), il cui leader era Shaker al-Wahiyib Fahdaoui (La nuova Al-Qaida), apparso in un video in cui trucida a sangue freddo dei camionisti siriani perché “sciiti alawiti”, come atto dimostrativo da divulgare come propaganda di quella che sarà la frangia più estrema del terrorismo islamico di matrice wahhabita, votata alla distruzione dei governi arabi. "Non smetteremo mai di combattere fino a quando non si alzerà la voce della preghiera sino a Roma (lett. Non ci fermiamo fino a che facciamo il Takbīr e l’Adhān a Roma, se dio vuole)”, riporta il messaggio del movimento che cita testualmente il Corano. Tali parole lasciano tuttavia intendere che - secondo l'ideologia wahhabita - "nessuno potrà fermare questa armata sino ai confini della cristianità", sconfiggendo nel loro cammino tutti i governi arabi musulmani per farne uno solo, ossia "in cui tutti i musulmani saranno dalla Mecca a Roma" (Crisi Siria: meglio Assad che la guerriglia in casa). In altre parole, affermano che la loro guerra sarà inarrestabile fino a che non venga creata la "khelafa " islamica, cioè un governo islamico wahabita all’interno del mondo islamico.
Ciò significa che questa minaccia non è rivolta all’Occidente, bensì ai Governi del Medio Oriente. Per cui, il travisamento di questo messaggio con una potenziale minaccia nei confronti dell’Italia, si traduce in una vera e propria trappola, per indurre Roma a fare un passo falso ed intervenire nel conflitto, affiancandosi ad Egitto e Francia. Il vero obiettivo di questa partita è togliere ogni egemonia ed influenza economica agli italiani, perché le risorse della Libia sono state spartite a tavolino. Concludiamo con un interrogativo. Chi ha diramato il primo mandato di cattura contro Bin Laden? E’ interessante scoprire che è stata proprio la Libia di Gheddafi (Mandato Tripoli). Ed ecco che siamo tornati al punto di partenza.

16 febbraio 2015

ISIS e dintorni: prove tecniche per l'invasione e la divisione della Libia

Roma - La pubblicazione dell’ennesimo filmato dal montaggio cinematografico dell’ISIS fa scattare la trappola dell’intervento militare estero in Libia, ponendo così le basi per la divisione e la spartizione del suo territorio tra i gruppi di interesse da tempo schierati. L’esercito di Al-Sisi, dietro il sostegno di Emirati Arabi e Russia, è pronto ad invadere il confine occidentale, mentre le basi aeree egiziane nella notte hanno bombardato presunti punti logistici dell'ISIS, appena poche ore dopo l'annuncio dell’allarme generale per mettere in assetto da attacco gli Apache e gli F16 per un immediato attacco della Libia. L'annuncio del Presidente egiziano parlavano di possibile attacco una volta avuto il via libera dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come riserva di prendere contromisure di offensiva per vendicare la strage dei 21 cittadini egiziani copti sequestrati. Nei fatti l'Egitto ha anticipato ogni mossa, in quanto nella notte sono iniziate le manovre di rullaggio dei caccia, cominciando a bombardare la zona costiera di Derna, non molto lontano dal confine occidentale con la Libia.


Potrebbe essere questo il risultato di un patto scellerato raggiunto a Minsk con la Russia, che lascia a Mosca la possibilità di fare da regista della ‘balcanizzazione’ dell’Ucraina, a fronte della disponibilità di Putin a non ostacolare una possibile risoluzione dell’ONU per la Libia. In tal caso, la cosiddetta “coalizione anti-ISIS” avrebbe il via libera ad intervenire e spartirsi le risorse libiche, oltre che a riattivare i canali di traffico di armi per alimentare i conflitti perenni del Medio Oriente. Quanto sta accadendo all’Ucraina non è molto distante dal patto di non-aggressione di Hitler e Stalin, con la ripartizione della Polonia, la cui attualità ritorna oggi per salvare le commesse di Mistral e Alstom, come anche i contratti energetici e industriali delle aziende tedesche, forse anche il South Stream. Questo la dice lunga sul motivo per cui François Hollande e Angela Merkel si siano arrogati il diritto di trattare con Mosca a nome dell’Europa, senza nessun mandato formale da parte chi “non aveva più alcuna credibilità” dinanzi alla controparte. La stessa potenza sta ora chiedendo all’Italia di trattare sulla Libia, nel tentativo di creare un fronte comune sull’intervento militare di “terzi paesi” sotto l’egida dell’ONU. A questo punto, non è molto difficile capire che a tenere le fila di queste trattative sommerse siano proprio gli Stati Uniti, che stanno inducendo i Paesi europei ad esporsi in prima persona per stabilizzare quei conflitti scatenati e fomentati da lobbies senza Stato-nazione. A tale scopo, Washington ha simulato delle minacce trasversali, esasperate sino all’inverosimile, che stanno creando lo spettro del terrorismo nel cuore dell’Europa, spingendo la guerriglia sino ai suoi confini più prossimi del Mediterraneo e dei Paesi Baltici. L’obiettivo di fondo è proprio quello di far credere ai governi europei che l’UE dovrà rimanere una costola della NATO, seguendo le sue leggi economiche e militari, impendendo così nei fatti la creazione di un terzo blocco politico che possa trattare con Russia e Cina. Ed infatti ha indotto gli Stati del Baltico a credere che saranno invasi dall’esercito russo, pronto a sfondare tutti i suoi confini per riaffermare l’Unione Sovietica.


Allo stesso modo, sono state azionate delle forze per sbloccare lo stallo nel mondo arabo, creando una macchina di propaganda terroristica senza confini, capace di “comparire” ovunque puntando una bandiera, e di colpire qualsiasi obiettivo con efferatezza e freddezza. La stessa mossa egiziana, emulando perfettamente la Giordania – che ha sferrato dei bombardamenti unilaterali per vendicare l’uccisione del suo pilota – fornisce qualche indizio in più sulla natura di un’organizzazione terroristica sorta dal fallimento di Al-Qaeda contro Assad, che conta tra le sua fila personaggi che hanno avuto contatti con funzionari americani, e che non scopre il viso dei suoi militari. E’ anche strano che la loro tecnica di propaganda audio-visiva sia eccezionalmente migliorata, passando da una semplice telecamera ad un montaggio post-produzione, con tanto di regia e fotografia, testi e sceneggiatura. La propaganda che va ad alimentare, fa dell’ISIS un’organizzazione controversa, con logistica e tecnica militare, ma con manodopera di basso profilo. Sono infatti ben poche le fonti che hanno intravisto sui campi di scontri quei miliziani così fieri che compaiono nei video diramati in rete, perché in prima linea vi sono i soliti mercenari-schiavi assoldati o sequestrati. Eppure i media occidentali, nonostante non abbiano uomini sul campo, sono i più informati, anzi fin troppo bene informati, riuscendo così a seguire, se non anticipare le prossime mosse dei terroristi.

Ed è proprio l’ISIS a fare la differenza in Libia, perché senza di esso la situazione resterebbe di scontro perenne tra le guerriglie e le polizie private, con due Governi e due Parlamenti (Tobruk e Tripoli), un esercito riconosciuto affiancato da una formazione paramilitare supportata da Emirati e Occidente (ndr. Khalifa Haftar) che si oppone al movimento sovversivo di Fajr Libia che gode del sostegno del Qatar, oltre agli eserciti rimasti fedeli a Gheddafi (come quello di Zintan) che continuano una propria guerra, per riacquisire una posizione. E’ questo lo spaventoso spettro della grande “opera diplomatica” della deposizione del Colonnello, gettando il caos nella regione per consentire ad altri ampio spazio di manovra per i propri traffici: armi, mercenari, petrolio, e droga,e quant’altro ha da offrire il mercato libico. Lo scenario è ancor più complesso, considerando che Al-Sisi si sta preparando ad attaccare “formalmente” la Libia, mentre continua quello silenzioso e invisibile, in atto da mesi a sostegno dell’esercito di Haftar e di recente in maniera più intensa lungo i confini. Armato “sino ai denti” grazie a contratti bellici miliardari “piovuti” dalle mani di Francia e Russia, Al-Sisi potrebbe non fermarsi dinanzi a questo bluff dell’ISIS, e quindi andare fino in fondo “per conto di terzi”. Quello stesso esercito che non ha esitato a far fuoco sulla folla per fermare la Fratellanza musulmana, ha deciso di accorrere in “vendetta” dei copti, nonostante l’Egitto li abbia sempre perseguitati e sterminati. E’ evidente che è tutta una grande farsa quella di Al-Sisi in difesa della cristianità minacciata dallo Stato Islamico. L’intervento egiziano, con o senza il benestare dell’ONU, innescherà dei meccanismi di reazione dalle conseguenze imprevedibili, ma comunque sotto gli schemi di una guerra non convenzionale.


Lo stesso monito d’allarme giunge in queste ore dalla Tela di corrispondenti a Tripoli, circa la pericolosa escalation posta in essere da molteplici forze schierate, pronte a dividere la Libia in tre parti parti, che fanno riferimento a Tripoli, Bengasi e Murzuk, ciascuna dietro il sostegno di distinte lobbies. Come anticipato dall’Osservatorio Italiano, all’immediato scoppio dei primi scontri a Tripoli, “l’obiettivo della Francia e dell'Inghilterra era sin dall'inizio quello di dare un nuovo Stato alla Total e alla BP, e per far questo hanno incendiato tutto il Nord Africa. Il problema è che, una volta innescato, questo meccanismo infernale non si fermerà, e nuove rivolte si preparano in Siria, ma se si arriva alla Giordania non si torna più indietro. D'altro canto, occorre tenersi pronto al contraccolpo, che si traduce nella reazione dei Governi aggrediti con il terrorismo. Sono molte le reti create dalle intelligence occidentali nei Paesi difficili da stabilizzare e da controllare, e una volta che vengono spezzate e 'abbandonate' diventano armi micidiali e imprevedibili". All'indomani dell'incursione franco-britannica, l'Osservatorio Italiano avvertiva sulle pericolose derive della destituzione di Gheddafi (si veda La Repubblica Cirenaica, il nuovo Stato di Total e BP), considerando "l’attacco aereo solo la prima fase della totale destabilizzazione del regime di potere in Libia, che è stato infatti trasformato in terreno da sciacallaggio per le milizie armate, al soldo di società private. Nel tentativo di prevaricare l'una sull'altra e prendere il controllo delle riserve petrolifere, delle infrastrutture energetiche e logistiche, in questi anni di transizione si sono dilaniate a vicenda, foraggiate da molteplici fronti, come Qatar, Emirati Arabi, Arabia Saudita, ma anche dai cartelli petroliferi e delle armi. La Libia non è più uno Stato, bensì una terra di nessuno da conquistare. E' ovvio che questa nuova guerra può essere un passo falso per l'alleanza franco-britannica, perchè questa politica della Regionalizzazione - una sorta di evoluzione della balcanizzazione che porta alla scomparsa degli Stati Nazione - può essere un'arma a doppio taglio, portando la guerra sino in Europa. Infatti non esistono solo Palestina, Cisgiordania, Kurdistan, Sangiaccato, ma anche Corsica, Scozia, Paesi Baschi, Fiandre. All'Italia ora non resta che tamponare una crisi che è solo agli inizi". scriveva ancora l'Osservatorio, citando proprie fonti presenti sul territorio libico.


Dinanzi a questo scenario, il gioco-forza del Governo italiano è sin troppo azzardato, evidentemente spinto a trattare nel Nord Africa al posto degli Stati Uniti, considerando che la diplomazia americana ha perso del tutto la propria credibilità in questa regione. L’Italia, infatti, non è in grado di gestire un conflitto nel cuore del Mediterraneo e nelle immediate prossimità delle sue coste, come se fosse il conflitto nei Balcani. La sua diretta esposizione serve oggi a coprire chi sta già tramando per subentrare ad essa, e si avvicinano sempre più come belve affamate. Oltre all’Egitto, non dimentichiamo che la Francia ha già mosso le sue navi per manovre tecniche nel Mediterraneo mentre da mesi reclama il “diritto” a guidare una missione anti-terrorismo nelle metodologie dell’attacco in Mali. Una prerogativa solo “temporaneamente” fermata dagli eventi di Charlie Hebdo, ma le minacce alla raffineria Total potrebbero essere sufficienti ad inviare un contingente. In realtà, il territorio libico è stato già infiltrato da forze esterne e contractor, che stanno giocando un ruolo sporco nella formazione di forze di sicurezza private e auto-investite di autorità. Difficilmente l’Italia riuscirà a conservare le proprie posizioni e a prevenire gli attacchi fratricidi dei propri alleati. Nella sua posizione dovrebbe arretrare e limare le proprie dichiarazioni, in quanto vengono strumentalizzate e mal interpretate dai media arabi, che stanno gradualmente innescando una campagna mediatica di sciacallaggio contro l'Italia, come se fosse l'artefice di un disegno politico di "dominio nel Mediterraneo". Del resto, in Paesi così tormentati non si può usare la teoria della democrazia e neanche si può pretendere di riuscire a mantenere uno stato di guerra per altri due anni, il tempo di creare un porto franco attraverso il quale riuscire ad armare l’Africa e l’Ucraina.

06 febbraio 2015

L’onda anomala del Balkanistan

Banja Luka - Dopo un periodo di silenzio, è stata riattivata la macchina della disinformazione che sta smistando tra i media locali controverse analisi e pareri sui possibili scenari connessi alla diffusione del radicalismo islamico nei Balcani. Quella che un tempo veniva chiamata Trasversale verde - che storicamente collegava la Croazia sud-occidentale, la Bosnia e tramite il Sangiaccato, il Kosovo e l’Albania, sino alla Tracia orientale e alla Turchia - viene oggi definita Balkanistan, da intendersi come regione dei Balcani come parte del Califfato islamico. A questo proposito, in una rocambolesca coincidenza, sono comparse delle bandiere dell’ISIS su una casa del villaggio di Gornja Maoca - nota sede di una piccola comunità di wahhabiti, ben conosciuta dai servizi di intelligence locali. Tuttavia la notizia è giunta nella redazione di Reuters e Daily Mail prima ancora che nell’Agenzia di Investigazione (SIPA). Gli agenti non hanno fatto in tempo a raggiungere la casa abbandonata su cui erano state esposte le quattro bandiere, che il tabloid britannico  aveva già pubblicato le foto, per cui alle forze dell'ordine non è rimasto che constatare la rimozione delle stesse, mentre i presunti combattenti si sono prestati ad interviste e reportage dei giornalisti accorsi.

A questo punto, da oggi in poi, non possiamo che aspettarci una valanga di teorie, ipotesi e sospetti sulla presenza dell’ISIS in Bosnia, il tutto per creare sempre maggiore confusione e depistaggi, in un terreno fertile per questo tipo di propaganda, ma allo stesso tempo fragile e ferito. Le sfumature delle teorie propagandate sembrano cambiare, con toni più aggressivi e violenti, ma la corrente di fondo rimane immutata, perché i portavoce della propaganda del terrore, che si avvicendano da oltre vent’anni, sono sempre gli stessi. Nel grande coro dei passacarte si sono distinti Tanja Topic, analista di Banjaluka, Vlatko Cvrtila, esperto di geopolitica di Zagabria, Marko Attila Hoare, storico presso la Kingston University, nonché Tihomir Loza, giornalista croato che vive a Londra esperto su Paesi in transizione, Danko Plevnik giornalista croato, oppure Zarko Petrovic, direttore del Centro Internazionale per la sicurezza – ISAC foundation. A questi si uniscono talvolta Dzevad Galijasevic, come anche Darko Trifunovic, affiancato dall’analista Milan Mijalkovski, che insegna presso la Facoltà della sicurezza di Belgrado, mentre Domagoj Margetic ha lasciato l’Islam per fare la guerra alla corruzione.

E' comunque difficile stilare l’intera lista degli analisti "occasionalmente volontari" per associazioni e organizzazioni createsi negli ultimi vent’anni nei Balcani. Molte di esse sono sparite così come sono nate, tante ne esistono ancora, ma sono sempre più numerose le nuove entità venutesi a creare, spesso parte della medesima rete, che gode del supporto delle ambasciate degli Stati occidentali, delle Fondazioni bancarie ed in particolare della Open Society. Il loro campo di azione spazia dalla lotta per la trasparenza e la corruzione, alla criminalità organizzata e traffici, per ritornare solo di recente ai labirinti delle analisi sul terrorismo nei Balcani. Un gran “pour parler” costruito sul nulla, che vede protagonisti analisti da bar formulare le teorie più assurde, prive di qualsiasi fondamento o ricerca strutturata, bensì frutto della lettura di qualche sito internet. Il crimine peggiore è l’accredito fornito dai media internazionali, che forniscono così la matrice per cominciare con la propaganda. Un gioco questo ormai usurato dal tempo, con tecniche obsolete e talmente collaudate, che tali personaggi credono davvero si passare inosservati.

Da parte nostra, riteniamo che non vi sia alcun presupposto per intraprendere un discorso serio sul terrorismo islamico nei Balcani, in quanto il mantenimento di uno stato di confusione conviene sia alla Comunità Internazionale che ai governi locali. Il caos della Bosnia serve un po’ a tutti, soprattutto quando si è a corto di argomentazioni. Per cui serve dire che i kalashikov utilizzati negli attentati sono bosniaci, come bosniaco è il canale di reclutamento. Sebbene non condividiamo certe tesi, preferiremmo che, al posto di Balkanistan, si definisca Trasversale verde o meglio Occasionalmente terroristi, tanto per dare l’idea di chi abbiamo di fronte. Ed infatti, creare delle onde anomale di disinformazione sul fondamentalismo islamico nei Balcani è molto pericoloso, non per questi Paesi – che in fondo conoscono bene le dinamiche di cui parliamo – bensì per le ricadute su terzi o in patria. Basta ricordare gli errori di valutazione dei grandi strateghi che hanno voluto portare la guerra in Ucraina nella convinzione che la Russia non avrebbe reagito, o che volevano abbattere la Siria con la propaganda spicciola delle primavere arabe. I Balcani, in questo, sono molto più folli ed imprevedibili, e creare in questi Paesi una minaccia - sebbene virtuale - rischia di innalzare una fiamma di ritorno ancora più insidiosa. In attivo c'è già il fallimento del tentativo di sovversione con le proteste di Sarajevo, dello scorso febbraio, quando un gruppo di ONG ha assembrato un branco di hooligans nella speranza di portare al collasso le istituzioni. Adesso la strategia è cambiata, si ritorna nella 'trasversale verde' con il Balkanistan, tirando fuori delle bandiere e sperando nel colpo di fortuna. Che dire: una grande creatività....

05 febbraio 2015

Esodo dei kosovari verso l'Europa: Germania riapre campi di concentramento?


Pristina - Migliaia di cittadini della Repubblica del Kosovo hanno lasciato, in questi ultimi mesi e tra le lacrime, il paese. Alla ricerca di una vita migliore, hanno abbandonato il paese, rischiando la vita, mediante le strade illegali insieme ai bambini e agli anziani. Un esodo simile non veniva registrato dal periodo della guerra, ma oggi, 15 anni dopo il conflitto armato e 7 anni dall'indipendenza della Repubblica del Kosovo, i cittadini sono esasperati fino al midollo nel loro paese. Non li ferma né la Serbia, né l'Ungheria, e tanto meno l`Europa, ma neanche il Kosovo. Anzi, il Governo kosovaro non tenta neanche di chiudere il confine con la Serbia, paese da dove vanno via gli emigrati kosovari. Nonostante i molteplici appelli, anche ieri sera, come oramai ogni sera, solo da Pristina sono partiti 10 autobus, con almeno centinaia di persone e, considerando che in  un autobus di due piani possono entrare più di 100 persone, la stima dell'esodo comincia ad essere impressionante.

Molteplici le speculazioni
Si moltiplicano intanto le speculazioni sui media e tra l'opinione pubblica circa le motivazioni che stanno alla base dell'improvviso e massiccio esodo dei kosovari. In primo luogo, si ipotizza che tali massicce migrazioni verso i paesi dell'UE vengono tollerate per contenere il fenomeno di partecipazione di molti albanesi tra le fila dell'ISIS. In secondo luogo, vi potrebbe essere un certo interesse da parte dell'Ungheria di fare entrare sul proprio territorio sempre più migranti,  in modo da giustificare l'accesso a maggiori fondi UE, considerando che la prima registrazione avviene presso le autorità ungheresi. Secondo altri, è in corso un vero e proprio test per misurare quanti albanesi potrebbero recarsi in UE dopo la liberalizzazione dei visti per i kosovari. Per cui, sarebbe in atto un verso e proprio tentativo per bloccare l`ulteriore integrazione dei Balcani nell'UE. Allo stesso modo, potrebbe esservi l'esigenza di svuotare il Kosovo, per normalizzare l'economia e bilanciare i livelli di disoccupazione e del PIL.  Altro motivo, di natura razzista, riconduce l'arrivo dei kosovari per compensare la grande presenza di africani e persone dal Medio Oriente. D'altro canto, il mercato del lavoro europeo sta invecchiando, per cui ha bisogno di essere rigenerato da forza lavoro giovane, di origine europea, e compensare così le carenze in molti settori professionali (infermieri, operai specializzati). 

La dinamica dell'esodo

Dalla stazione di Pristina, un punto d`incontro dei cittadini provenienti dai vari comuni, che intraprendono le strade verso l`ignoto, partono ogni sera in media 10-15 autobus, con 800-1000 persone e forse di più, e nell'arco di un mese è stata raggiunta la cifra allarmante di circa 30 mila cittadini. Salgono donne, bambini, uomini, sugli autobus che sono diretti a Belgrado, e poi verso Subotica, e infine in Ungheria, che è il trampolino di lancio per arrivare nei paesi come la Germania, la Francia e la Svizzera. Le immagini sulle partenze di massa durante la notte dalla stazione di Pristina sono diventate solite, e lo stesso scenario si ripropone anche nelle stazioni di altre città, come Mitrovica, Drenica e Shala, Drenas, Skenderaj, Vushtrri. Interi quartieri del paese dunque si stanno svuotando, nonostante l`appello degli alti rappresentanti statali e di quelli internazionali, che danno segnali che nessun paese dell'UE offre più lo status di asilo. I dipendenti della stazione degli autobus, dicono che il numero dei cittadini che viaggia verso la Serbia tale che i biglietti sono stati venduti fino al 6 febbraio. Secondo i dati del Ministero kosovaro degli Interni, a novembre del 2014 oltre 24 mila cittadini del Kosovo hanno lasciato il paese. Secondo i dati dell'Eurostat per il 2013, il numero dei richiedenti asilo kosovari è di 20.220. Intanto, per il 2014, esclusi il mese di novembre e di dicembre, nei paesi comunitari hanno chiesto asilo 11 mila e 880 cittadini kosovari. Non sono disponibili i dati ufficiali degli ultimi mesi, tuttavia secondo le supposizioni ogni mese sono 12.600 le persone che emigrano. 



Un emigrato clandestino che ha parlato in condizione di anonimato, ha riferito che attualmente vive in un campo profughi a Monaco di Baviera, e che andare in Ungheria molto facile, è come andare a Durazzo o a Valona. Per quanto riguarda i costi, un viaggio Pristina-Subotica costa 30 euro a persona, e il viaggio è tranquillo senza problemi. A Subotica, come ha raccontato un uomo, c'è il facile approccio con i mediatori (o trafficanti). Sono albanesi del Kosovo che conoscono tutti i buchi della frontiera serbo-ungherese. A tal punto il prezzo varia da 60 fino a 200 euro pro capite, a seconda del trafficante. Il servizio dell'autista è garantire il passaggio fino alla frontiera e mostrare la strada da prendere, ma dall`altra parte tutto il rischio spetta agli emigrati. In realtà, come ha raccontato il testimone, l`unico rischio è essere presi dalla polizia serba. In tal caso, la cosa peggiore è quella che di essere derubati, ma in nessun caso c'è un ritorno in patria. Una volta arrivati in Ungheria, gli emigrati sostano all'inizio in una stazione della polizia nei pressi della frontiera, e poi vengono accolti in un centro di accoglienza dove rimangono 24 ore. Il giorno successivo, le autorità del centro, danno i biglietti del treno e vengono trasferiti in un campo ungherese, al confine con l`Austria. Da soli, senza l'accompagnamento dei poliziotti, scendono a Budapest, e da lì con il treno vanno verso Monaco in Germania. Dopo la presentazione alla polizia della richiesta di asilo, vengono stabiliti poi in un campo, e ricevono alloggio, e tre pasti al giorno, e 80 € a settimana per piccole spese. Alla fine, il testimone ha aggiunto che bisogna aspettare due mesi per la risposta alla domanda d'asilo.



I passaporti serbi e i permessi tedeschi?
L'esodo dei kosovari è stato descritto anche dai media serbi, secondo i quali, il Kosovo è stato abbandonato da 21.500 persone. Secondo la stampa, alcuni partono con passaporti biometrici della Serbia, sottolineando tuttavia che il rilascio di tali passaporti per i residenti kosovari è terminato a giugno del 2009. Fino ad aprile del 2019 sono stati rilasciati circa 5.600 nuovi passaporti per i serbi del Kosovo, e 1500 per gli albanesi. Da settembre 2009 fino a maggio 2011, citando le parole di Ivica Dacic, allora Ministro degli Interni, 26.000 albanesi del Kosovo hanno preso un passaporto serbo. D`altra parte, non è noto quanti passaporti siano stati rilasciati illegalmente, secondo le valutazioni, il passaporto costava dai 2.000 ai 7.000 euro. Invece il quotidiano "Zeri" ha pubblicato foto del permesso provvisorio che le autorità tedesche rilasciano ai richiedenti asilo kosovari ad Amburgo. Nel campo di Amburgo vi sono oltre 1000 gli albanesi di tutte le età, dove ricevono, oltre ai pasti e l'alloggio, 140 euro al mese pro capite. A chi interessa sono stati anche allestiti dei corsi in lingua tedesca. "Dopo averci chiesto i dati personali, ci rilasciano un permesso provvisorio di soggiorno, come lo chiamiamo noi. Non so perché, e a che scopo. Non sappiamo cosa ci succederà. Non ci dicono se ci terranno qui, o se ci manderanno via", ha rivelato un emigrato di Amburgo per Zeri. 

Edificio del Campo di Dachau (Augusta)



Chi parla di buone e chi di pessime condizioni. Trasferiti a Dachau, ex campo nazista degli ebrei?
Questo martedì, quando il mondo ha commemorato i 70 anni dalla liberazione del campo di concentramento nazista ad Auschwitz, lo stesso giorno, la città tedesca di Augsburg ha deciso di rimettere in funzione un altro campo di concentramento di Hitler, Dachau, che è divenuto un edificio per alloggiare i rifugiati. E' stato disposto di dislocare entro il 31 gennaio, nella ex-caserma di Augsburg (Augusta), la Halle 116, del complesso del campo di concentramento di Dachau, 90 rifugiati. Il programma, tuttavia non è stato ancora attuato, e forse non andrà in porto (Fonte: Abendzeitung-muenchen.de). Le persone, i cui nomi sono sono scritti sulle liste, confessano che la vita in questi campi è molto difficile, quasi impossibile. Alcuni ufficiali tedeschi hanno condannato questa politica, informando che le rispettive autorità sono insensibili verso i richiedenti asilo, per la stessa storia dolorosa che rappresentano questi campi. Ma Dachau non è l`unico ex campo di concentramento che viene utilizzato per gli alloggi, a causa del crescente numero dei richiedenti asilo, anche in altre città stanno utilizzando forme alternative, come magazzini vuoti, o le caserme militari per far fronte al crescente numero di ospiti. Secondo gli ultimi dati elaborati dall'ONU, negli ultimi due decenni, la Germania conta il maggior numero di queste persone in tutto il mondo. D`altra parte,  i portali Gazetaexpress e Prmagazine.info, hanno pubblicato le foto sulle condizioni nel campo di Karlsruhe, dove gli emigrati parlano di gravi condizioni sanitarie e alimentari. Invece 96 emigranti fermati questi giorni nella stazione ferroviaria di Linz, in Austria, dicono che "non abbiamo lavoro, soldi, e nè futuro in Kosovo", e rifiutano di tornare in patria, e elencano molti motivi. Il quotidiano austriaco Oberösterreich, cita che se durante l`intero 2014 hanno chiesto asilo 1901 kosovari, solo nel primo mese del 2015 lo hanno chiesto 1029 cittadini, mettendo il Kosovo all'apice dei richiedenti asilo.

 Centro di accoglienza di Amburgo, Germania (Foto: Zeri.info)
 
Centro di accoglienza di Karlsruhe, Germania (Fonte: Prmagazine.info)
Centri di accoglienza in Francia (Fonte: Prmagazine.info) 


Emigranti kosovari passano senza controlli davanti ai poliziotti ungheresi al confine
Motivi e effetti
La disoccupazione giovanile in Kosovo ha raggiunto quote allarmanti, stimata per circa il 70%,  mentre in base ai calcoli 500 mila vivono solo con 1.72 euro al giorno. I motivi, come affermano alcuni testimoni, sono le gravi condizioni economiche, la vita molto cara, la disoccupazione, la mancanza di assistenza sanitaria, e perfino una depressione verso il loro futuro, e ci sono anche coloro per cui il paese è  finito da quando al potere giunta la coalizione LDK-PDK. Ma d`altra parte le condizioni che gli erano state promesse, come affermano i media kosovari, tuttora restano un mistero, per coloro che hanno preso la strada verso l`occidente, e non è successo ciò che loro immaginavano. Nell'ultima relazione trimestrale sul Kosovo, che sarà discussa il 6 febbraio, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha espresso preoccupazione sull'emigrazione della popolazione del Kosovo. "Le relazioni sull'esodo della popolazione kosovara negli ultimi mesi destano una grande preoccupazione", ha osservato il segretario dell'ONU, chiedendo alle autorità di affrontare la questione. D`altra parte gli effetti dell'emigrazione illegale hanno iniziato a sentirsi non solo nelle scuole, ma anche nelle imprese del paese. Verso l`UE non stanno emigrando solo i disoccupati ma anche coloro che avevano lavoro. Tra i paesi comunitari, solo la Germania ha stabilito con il Kosovo, nel 2004, un accordo bilaterale sull'occupazione stagionale. Nel mese di maggio del 2013 è stato abrogato il memorandum tra il Ministero kosovaro del Benessere sociale e la società tedesca “HOWL.L.C”, che prevedeva l`occupazione dei kosovari in Germania. Tuttavia, l`organizzazione APPK (Agjensioni i Përkrahjes së Punësimit në Kosovë - l`Agenzia per il Sostegno all'Occupazione in Kosovo), ha raggiunto un accordo di mediazione con la ZAV (Zentrale Auslands-und Fachvermittlung/Centro per la Mediazione del Quadro personale Estero e Professionale), per l'occupazione stagionale in Germania di giovani studenti durante il 2015. Infatti, rimane poco chiaro se la Germania in primo luogo, e la Francia e la Svizzera in secondo luogo, abbiano  un progetto per l`occupazione di questi cittadini, e se motivano tale ondata di migranti.